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Quale Farmacia in una società sempre più debole?

Negli ultimi anni abbiamo focalizzato le nostre riflessioni sui contributi logistici e organizzativi che possiamo offrire a un Servizio Sanitario Nazionale che, dopo la crisi pandemica, ha preso piena coscienza della propria necessità di rinnovamento . Ma forse questo non basta. Le farmacie territoriali, e ancor più noi Farmacie Comunali, dobbiamo fare di più per il nostro Paese.


Un dubbio inevitabile, questo, dopo la lettura di un report della Fondazione Gimbe pubblicato qualche settimana fa a proposito dei consumi sanitari delle famiglie italiane. 

Secondo il noto istituto,  i dati riguardanti la spesa out of pocket non offrono di per sé informazioni utili sulla condizione sanitaria delle famiglie italiane, e anzi possono addirittura fuorviare considerazioni conclusive, se tali dati non vengono messi a confronto con altri elementi socio-demografici, come ad esempio il livello di povertà della popolazione e il progressivo indebolimento del SSN. 

In estrema sintesi: le famiglie possono diminuire la propria spesa privata perché non hanno le risorse per far fronte ai propri bisogni sanitari, o perché impossibilitate ad accedere a servizi non presenti sul proprio territorio.

La povertà generale delle famiglie, e in particolare le sue dinamiche geografiche e temporali, sono quindi elementi imprescindibili per comprendere le criticità riguardanti il rapporto tra società italiana e diritto alla salute. Rapporto che, al di là dei diversi punti di vista, appare oggi certamente in difficoltà.


Di fronte a questa situazione cosa possono fare le Farmacie Comunali? 

Ogni mese questo notiziario online documenta l’impegno locale delle nostre Associate. Progetti a sostegno delle giovani famiglie con figli appena nati, iniziative a favore di anziani e malati cronici. Siamo quasi sempre di fronte ad azioni di carattere organizzativo o dispensativo di specifici servizi, dal risvolto economico indiretto sempre evidente.

I fenomeni descritti dalla Fondazione Gimbe e dall’Istat hanno però dimensioni e intensità tali da richiedere approcci più sistematici di quanto la creatività e lo spirito di spirito di servizio delle singole Farmacie Comunali stanno oggi lodevolmente mettendo in campo. Sistematicità che può e deve coinvolgere anche noi.

Anche perché, quando si dibatte di sanità pubblica e povertà, si parla di qualcosa che è intimamente nostro da sempre, da quando a Reggio Emilia fu istituita la prima Farmacia Comunale con lo scopo appunto di rendere disponibili i farmaci anche ai cittadini meno abbienti.


A tal proposito, ci sembra che siano due le strade che potremmo iniziare a percorrere fin da subito per farci portatori di queste istanze sociali poco visibili e spesso trascurate.

La prima è quella di abbinare la dimensione economica a quella logistica ogni qualvolta lotteremo politicamente per l’estensione del diritto di accesso al farmaco. Un diritto che certamente riguarda chi vive in zone geograficamente remote, e chi tra i pazienti cronici ha difficoltà a raggiungere le farmacie ospedaliere. Un diritto però che deve essere parimenti garantito a chi vive limiti economici.

La seconda strada da percorrere riguarda la soluzione della principale criticità organizzativa vissuta oggigiorno dal settore, e che rischia concretamente di ridurre la nostra presenza territoriale a fianco delle fasce più deboli della popolazione. 

Stiamo parlando della carenza di farmacisti, fenomeno in progressiva crescita e che già ora ha generato più di un problema in termini di qualità del servizio e di capacità di apertura delle farmacie negli orari garantiti. La ragione di tutto ciò è assai nota. Fare il farmacista dipendente non è più un lavoro invogliante: debole gratificazione professionale, salari giudicati troppo bassi, pochi benefit di altra natura. Tutto ciò spinge i giovani laureati ad iniziare altrove la propria carriera.


O interverremo su ognuna di queste criticità, oppure nel medio periodo non disporremo più di quel potenziale materiale e professionale che ci permetterà di contribuire al rilancio sociale del Paese.

La Farmacia dei Servizi sarà certamente una delle principali risposte anche a questo problema. E lo sarà perlomeno su due dimensioni: più competenze professionali, generazione di risorse in grado di ripensare il livello dei compensi.

Nel frattempo però possiamo riflettere su componenti extra-salariali, pensando soprattutto a meccanismi di welfare aziendale che migliorino il livello di attrattività del lavoro dipendente in Farmacia. E ciò può essere ancor più vero per determinate categorie di professionisti che oggi necessitano di maggior sostegno, come ad esempio i genitori di figli piccoli, oppure i neolaureati, fino ad arrivare ai laureandi per i quali si può immaginare un sostegno allo studio in cambio di contratti di assunzione successivi.


Le componenti più deboli e indebolite della nostra società hanno bisogno di una farmacia forte, così come ne ha bisogno il Sistema Sanitario Nazionale che oggi, più che in passato, è davvero impegnato in un ripensamento della propria struttura per rispondere ad una società mutata.

E come sempre, come è accaduto nel recente passato a proposito dei Servizi e della Nuova Remunerazione, spetta a noi Farmacie Comunali dimostrare di avere potenziale e idee per questo ulteriore salto di qualità.


Francesco Schito

Segretario Generale Assofarm

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